Il mondo dei petrolhead è vasto ed eterogeneo: c’è chi ama le supercar esotiche da 300 cavalli, chi ama il borbottio irregolare di auto quasi centenarie o chi invece preferisce mastodontici fuoristrada, in grado di arrampicarsi fino alle cime delle montagne. Ma prima ancora c’è una distinzione fondamentale, che divide quasi sempre gli appassionati in due grandi “fazioni”: rally o pista? Le argomentazioni sono varie e avremmo bisogno di un mese di articoli sul blog degli “Emiliani Volanti” per analizzare con cura le due scelte, ma comunque cercheremo in seguito di fare un attimo più di chiarezza, giusto per far capire meglio ai giovani, o a chi ancora non ha scelto, quale può essere la “strada giusta” da percorrere con il gas premuto a tavoletta. Inevitabilmente da bambini ci si avvicina al mondo delle corse su pista grazie principalmente a “Mamma” Ferrari, che accompagna la tradizione automobilistica italiana da ormai più di 50 anni e che quindi trova facilmente posto all’interno delle camerette dei bambini grazie a poster o modellini di auto del cavallino rampante. D’altro canto, però, se vogliamo guardare il tutto dal punto di vista storico, i rally la fanno da padroni dal momento che, fino al 1950 circa (che combacia con l’avvento del primo storico campionato di F1 che decreta di fatto la nascita del Motorsport moderno), le corse avvenivano quasi sempre su strade sterrate e raramente su strade asfaltate, principalmente perché il trasporto automobilistico era poco diffuso e le infrastrutture erano poco sviluppate sia per motivi economiciche tecnologici. Constatando quindi una difficoltà nel riconoscere una differenza netta tra rally e pista, i piloti correvano indistintamente in entrambe le categorie. Tutto questo fino agli anni 60, quando la prima Mini Cooper ha cominciato a distinguersi nelle gare su sterrato e quindi definendo a grandi linee la parola “Rally”. Da lì le due categorie hanno preso strade sempre più divergenti, sia come regolamenti che come ovviamente stile di guida. Con il passare del tempo la corsa su pista ha indubbiamente preso più piede in Italia, sempre grazie alla visibilità che Ferrari ha portato nella F1 (categoria sicuramente più seguita in Italia anche grazie alle coperture televisive). Per quanto riguarda il rally, al contrario, l’interesse è diminuito a causa dell’uscita di scena di costruttori italiani quali Fiat e Lancia, così come per l’assenza di piloti italiani di rilievo nella categoria. Per gli appassionati della pista, gli assetti sono precisi al millimetro, con un manto stradale che deve essere gommato e caldo al punto giusto da permettere la performance migliore, che va implementata giro dopo giro, abbassando il tempo, calcando minuto dopo minuto ogni curva, tentando follemente di frenare sempre più tardi per guadagnare qualche centesimo o per rimanere davanti all’avversario a fine rettilineo, con i dischi dei freni incandescenti per conquistare la sudatissima “pole position” o per ammirare tutto il tracciato dal gradino più alto del podio, lì dove i tre migliori festeggiano tra bandiere al vento e champagne.
L’ambiente rallystico invece ha un sapore più sporco, sa di terra, di fango, ma anche di neve, perché questi sono i terreni dove l’auto deve correre, quasi a voler sfidare gli elementi e la natura passando attraverso foreste, campi o attraverso una piccoli paesi dove gli anziani si affacciano a guardare questi bolidi che si sfidano. Una sorta di battaglia “indiretta”, se così si può dire, dato che l’avversario non è un’altra vettura bensì il cronometro , con le lancette che si muovono implacabili per decretare chi impiega il minor tempo a percorrere una decina di km di strada. A differenza della pista, qui si ha un colpo solo in canna, non c’è il giro successivo per rimediare agli errori, si passa una volta e quella volta deve essere abbastanza per registrare il miglior tempo, in una frazione di secondo il pilota deve prendere una decisione per affrontare una curva o un rettilineo calcolando se può passare a 100 km/h o a 101km/h, e quel chilometro di differenza può portare alla sconfitta o alla gloria.
Oltre alle vetture e alle varie tecnologie, anche lo stile di guida differisce tra le due categorie. Si passa dalla manovra chirurgica e pulita delle Ferrari 458 in pista alla manovra spettacolare ma più sporca della Ford Fiesta durante il rally sul fango: ecco perché raramente i piloti che hanno avuto successo in pista riescono a ripetersi nei rally o viceversa. Tra i più famosi possiamo annoverare Walter Röhrl, Stephane Sarrazin, Kimi Raikkonen e ovviamente il francese Sebastien Loeb. Quindi, in definitiva, la scelta è puramente soggettiva e, va da sé, che l’amare una delle due categorie non preclude il fatto di amare anche l’altra, così come non esiste una risposta giusta o sbagliata madipende dalle preferenze personali, che però influiscono indubbiamente sullo stile di guida e su ciò che una persona cerca in un’automobile, che sia la city car a tre cilindri o l’auto da usare la domenica con centinaia di cavalli.
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