Negli ultimi anni, nel mondo delle corse, si è sempre più parlato di “pilota pagante” ovvero un pilota che talvolta non possiede particolari abilità alla guida ma riesce ad arrivare ai vertici del motorsport grazie ad aiuti economici non indifferenti da parte di aziende possedute da famigliari o da ingenti sponsor nazionali che spingono per poter avere un driver che possa rappresentare la loro bandiera in qualche categoria motoristica.
Il 2021 vede l’esordio di Nikita Mazepin in F1 con la scuderia Haas e già i vari appassionati hanno mostrato il proprio dissenso nei confronti del russo sostenendo che non meritasse assolutamente un sedile in F1 anche alla luce dello scandalo sui social accaduto meno di un mese fa, in realtà Mazepin non è che l’ultimo di una lunga lista di piloti che approda in F1 grazie a sonanti banconote. La stessa sorte è stata subita dal canadese Lance Stroll, figlio del magnate canadese Lawrence Stroll il quale ha letteralmente acquistato la scuderia per poter far correre il figlio, nonostante ciò il pilota classe 1998 ha dimostrato più volte di avere una discreta bravura al volante soprattutto nell’ultimo anno conquistando vari podi ed addirittura una pole position, quindi è effettivamente vero che tutti i piloti paganti sono poco competitivi mentre chi si fa la cosiddetta gavetta nelle formule minori e si guadagna la promozione in pista, sia un vero campione?
Andiamo per ordine; fin dagli albori, il motorsport è sempre stato un qualcosa di estremamente oneroso che molte volte solo i più ricchi o benestanti si potevano permettere, quindi fino alla prima metà del ‘900 non era assolutamente raro incontrare nobili, marchesi o ricchi uomini d’affari cimentarsi in prove di velocità alla guida dei bolidi dell’epoca in quanto solo loro potevano permettersi auto, pezzi di ricambio e tasse d’iscrizione per poter correre negli eventi. Nonostante ciò la figura del pilota-meccanico prese piede ad egual modo e talvolta, capendo meglio l’auto e riuscendo a gestirla al meglio grazie all’esperienza in officina, cominciarono ad ottenere risultati migliori rispetto ai cosiddetti Gentleman Drivers che gareggiavano solo la domenica per puro sfizio personale. Ad ogni modo ci furono anche numerosi Gentleman Drivers che ottennero discreti risultati come: Achille Varzi, figlio di un ricco industriale tessile, il tedesco Wolfgang von Trips o il famoso principe tailandese Bira.
I piloti con la valigia sostanzialmente son sempre esistiti in tutte le discipline motoristiche, nel WRC ad esempio, son molti i privati che si iscrivono agli eventi del campionato salvo poi non venir quasi mai notati perchè chiaramente il loro talento non è paragonabile a chi gareggia 365 giorni all’anno. Nelle competizioni a ruote coperte i Gentlemen Drivers sono decisamente più presenti, tutto ciò forse per via dei costi più accessibili e del maggior numero di sedili disponibili, tant’è che molte volte vengono create delle classi appositamente per loro come ad esempio nelle gare di durata dove il pilota cosiddetto amateur e contrassegnato da un adesivo “AM” sulla propria vettura, ed è proprio nelle gare di durata che i piloti paganti sono essenziali perchè grazie al loro contributo economico molti team privati riescono a sopravvivere e a poter occupare un posto sulla griglia di partenza di un campionato che altrimenti si limiterebbe ad avere uno o massimo due team ufficiali mettendo a rischio la longevità ma soprattutto la spettacolarità del campionato stesso. Purtroppo questo ragionamento non è applicabile a campionati con partecipanti a numero chiuso come la Formula Uno e molte volte alcuni giovani piloti promettenti delle categorie minori si ritrovano senza sedile che viene occupato, per l’appunto, da chiunque possa portare qualche grosso sponsor. Il tutto si è intensificato negli anni ’90 dopo che la FIA ha imposto un numero massimo di monoposto per ogni evento, da quì numerosi piloti paganti hanno calcato pista, tra tutti forse spicca il nome di Pedro Diniz, brasiliano supportato dal padre e dalla sua azienda, il pay driver corse per diverse scuderie tra cui Arrows e Sauber e, nonostante non avesse mai ottenuto nessun podio o vittoria nelle categorie minori, non sfigurò riuscendo a portare più volte la propria vettura a punti.
Il caso più curioso fu quello di Chanoch Nissany, noto imprenditore israeliano operante in Ungheria che riuscì a conquistarsi un sedile in Minardi nel 2005 per una sessione di prove libere, inutile dire che i risultati furono disastrosi con Nissany che subì un distacco abissale dal compagno di squadra e finì la propria “carriera” in F1 insabbiato fuori dalla pista del circuito dell’Hungaroring.
In tempi più recenti comunque anche piloti più competitivi e talvolta campioni del mondo ebbero molti sponsors sulle spalle e possiamo senza dubbio considerarli come piloti paganti nonostante il loro bagaglio tecnico. Ad esempio lo spagnolo Fernando Alonso al suo passaggio in Ferrari nel 2010 portò uno sponsor colossale come quello della Santander così come sicuramente succederà quest’anno al suo ritorno in Renault dopo tre anni di lontananza dal circus; siamo sicuri che la scuderia francese abbia ingaggiato Nando unicamente per la sua immagine o per la sua bravura al volante? Difficilmente chi si allontana dal mondo della F1 poi riesce a far ritorno e, tutti i casi in cui ciò è successo hanno solide base economiche come ad esempio il ritorno di Schumacher in Mercedes nel 2010 supportato dalle poste tedesche “Deutsche Post” che volevano creare un super team battente bandiera tedesca con due piloti dalla Germania. Questo tecnicamente fa di Schumacher un pilota pagante eppure chiaramente nessuno si azzarderebbe mai a dire un qualcosa di simile neanche per sbaglio, quindi dove inizia e dove finisce la definizione di “Pilota Pagante”?
Tralasciando il fatto che tutti i piloti fanno qualcosa di straordinario che noi “comuni mortali” molte volte sottovalutiamo, ci dobbiamo ricordare che pur vivendo la loro passione, rischiano la vita ad ogni giro e sono messi in condizioni fisiche e mentali estreme che necessitano di un gran esercizio, quindi forse la prossima volta tutti noi dovremo pensarci due volte prima di usare la classica frase da bar: “Vabbè ma tanto quello e lì per i soldi” e magari anzi pensare al fatto che è grazie anche a loro se riusciamo a vedere la gara la domenica pomeriggio dal momento che son proprio loro i primi ad investire i propri capitali per far girare l’economia del motorsport, perchè purtroppo come dice un famoso proverbio: “Non si vive di sol amore…”